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La mente può trovarsi in stati diversi , il sonno ,il sogno, la trance,l'ipnosi,l'attenzione fluttuante,
l'estasi,la preghiera,la meditazione,la creatività artistica e scientifica,
l'esplorazione dello spazio e degli abissi marini,l'agonismo sportivo.

Stati della mente pubblica lavori originali o già pubblicati con il consenso degli autori, interviste e recensioni di libri e promuove eventi culturali e scientifici.

L'ALESSITIMIA, LE ARTI ,LA MUSICA, LA CLINICA di Guglielmo Campione



                                                                Les Amantes                                                        
                                                           Renè Magritte, 1928


Platone, su cui si basa l'essenza della spiritualità occidentale, ha scritto pagine molto interessanti sugli effetti dei suoni sulla mente.Egli riteneva che l'emozione fosse una  specie di movimento interno che chiamò Kinesis.La Musica e la Danza andrebbero intese secondo Platone come uno shock esterno, Seismos, in grado di ricondurre lo stato emotivo alla calma generale del cosmo. Le madri che cercano di far addormentare i loro bambini ,li cullano (kinesin) facendo oscillare le loro braccia (seiousai) mentre cantano loro canzoni e in tal modo li incantano(kataulosi) e li calmano .Platone s’era imbattuto in ciò che i neuroscienziati del XX secolo avrebbero chiamato " fenomeno del trascinamento sonoro"?.
La musica ha un rapporto privilegiato con il nostro mondo emotivo piuttosto che con la ragione e i concetti»;«esiste un isomorfismo strutturale tra linguaggio musicale e realtà emozionali profonde».
Platone, nella Repubblica, afferma che l'educazione musicale è di estrema importanza per il fatto che il ritmo e l'armonia penetrano nel più profondo dell'anima :
“Chi è stato educato a dovere in questo campo si accorgerà con grande acutezza di ciò che è difettoso e mal costruito [...] e con giusta insofferenza loderà le cose belle e accogliendole con gioia nell'anima saprà nutrirsene per diventare un uomo onesto, mentre biasimerà e detesterà a buon diritto le cose brutte fin da giovane, ancor prima di poterne capire razionalmente il motivo; e una volta acquisita la ragione la saluterà con affetto, riconoscendo la sua grande affinità con l'educazione ricevuta"
Platone era convinto che la musica fosse estremamente influente sullo spirito di una persona e che possedesse, per questa ragione, una funzione di natura etico-educativa (riuscendo a parlare allo spirito dei fanciulli prima ancora della ragione.

La musica trova il suo compimento, secondo Platone, nell'amore del bello; e, soprattutto, la vera musica è musica semplice, non doppia, né molteplice (così come l'uomo vero non può essere doppio né molteplice)


Avendo la possibilità di esprimersi attraverso il mezzo sonoro, le persone possono sperimentare un’evasione costruttiva dal proprio isolamento emozionale. La musica in questo caso può offrire alla persona malata la possibilità di percepire ed esprimere le proprie emozioni, di mostrare, di comunicare i propri sentimenti o stati d’animo attraverso un tipo di linguaggio non-verbale.

Per questi motivi è ipotizzabile che, da questo tipo di attività, possano trarre i maggiori benefici persone che presentano alti livelli alessitimici, in quanto viene offerto loro un canale comunicativo, diverso dalla parola, che può facilitare l’espressione emozionale che prima invece risultava problematica.


ALESSITIMIA

Non esistono, a quanto ci risulti, ricerche che documentino gli effetti della musicoterapia sull’alessitimia.

Si definisce alessitimia (o alexitimia) un insieme di deficit della competenza emotiva ed emozionale, palesato dall'incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi. Viene attualmente considerato anche come un possibile deficit della funzione riflessiva del Sé. Letteralmente significa "non avere le parole per le emozioni ”
Il termine Alessitimia fu coniato da John Nemiah e Peter Sifneos all'inizio degli anni settanta, per definire un insieme di caratteristiche di personalità evidenziate nei cosiddetti pazienti psicosomatici. Il nome venne divulgato per la prima volta nel 1976 alla XI° Conferenza Europea sulle Ricerche Psicosomatiche.

L'alessitimia si manifesta nella difficoltà di identificare e descrivere i propri sentimenti, ed a distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche. I soggetti alessitimici hanno grandi difficoltà ad individuare quali siano i motivi che li spingono a provare od esprimere le proprie emozioni, ed al contempo non sono in grado di interpretare le emozioni altrui. La loro capacità immaginativa ed onirica è ridotta, talvolta inesistente; mancano di capacità d'introspezione, e tendono ad assumere comportamenti conformati alla media. I soggetti alessitimici tendono anche a stabilire relazioni di forte dipendenza o, in mancanza di essa, preferiscono l'isolamento.
L'alessitimia è risultata significativamente correlata a numerose condizioni patologiche di Dipendenza e compulsione oltre che a patologiche sia di natura psicosomatica che psicologica, come l'ipertensione, la dispepsia i disturbi sessuali, ed alcuni disturbi d'ansia.
L'alessitimia è stata associata ad uno stile di attaccamento insicuro-evitante, caratterizzato da un bisogno talvolta ossessivo di attenzioni e cure.

Processo psichico frequente nei soggetti con tratti di personalità alessitimici è l'incapacità di mentalizzare e simbolizzare l'emozione. L'emozione viene vissuta per via somatica (direttamente sul corpo e senza elaborazione mentale), e non interpretata cognitivamente, né concettualizzata per immagini mentali o parole che la sintetizzino e contengano. L'emozione è, per il soggetto alessitimico, la mera percezione fisica, disregolata e presimbolica, dei correlati psicofisiologici dell'attivazione emotiva.

Sono tre le caratteristiche ritenute alla base del disturbo:

la difficoltà nell'identificare i sentimenti;

la difficoltà nel descrivere i sentimenti altrui;

il pensiero orientato quasi solo all'esterno, e raramente verso i propri stessi processi endopsichici.

Dal punto di vista psicodiagnostico sono 3 gli strumenti specifici per valutare l’alessitimia : la TAS-20 (Toronto Alexithymia Scale), una scala psicometrica di autovalutazione a 20 domande (item),il test proiettivo TAT (Tematic apperception test) e il SAT9 (Objectively Scored Archetypal Test).

E’ stata rilevata significativa presenza di tratti alessitimici nei pazienti psicosomatici, oncologici e affetti da dipendenza patologica.

La proverbiale difficoltà di questi pazienti alla riflessione , alla consapevolezza di sè e della realtà, la loro propensione ad un pensiero concreto e operatorio con difficoltà di astrazione, rappresentazione e simbolizzazione rende molto difficile un approccio psicoterapeutico .

I pazienti psicosomatici , dipendenti patologici e in qualche caso oncologici (qui bisogna anche aggiungere la variabile dell’ età cronologica e mentale) non possono associare liberamente nè analizzare i sogni o parlare dei loro sentimenti: tutto ciò rende impossibile il lavoro terapeutico secondo i metodi psicoanalitici usuali.

Con questi pazienti compare un transfert, che si potrebbe chiamare ‛transfert psicosomatico', che presenta modalità simbiotiche di relazione col terapeuta : il paziente offre al terapeuta il suo corpo malato e bisognoso di aiuto, eludendo per questa via il rapporto diretto. Non ci si rapporta cioè direttamente ma sempre e solo attraverso il sintomo , una specie di terzo oggetto della relazione.

Nella sua vita il paziente psicosomatico non ha appreso, di norma, a confrontarsi costruttivamente con gli altri in quanto personalità fornita di una propria identità; la sua realtà psichica, infatti, è esclusivamente quella della persona malata e bisognosa di aiuto.

Tutto questo rende estremamente difficile il lavoro terapeutico, rendendo necessari approcci diversificati che, spesso, escludono un approccio psicoterapeutico diretto. Ci si trova così a muoversi in una zona grigia, (buona metafora trattando di un congelamento delle emozioni), il che rende necessaria l’individuazione di nuove coordinate di orientamento e di esplorazione.

Per questo motivo è fondamentale poter disporre di strumenti pedagogici specializzati che siano propedeutici ad una successiva psicoterapia secondo un’ ottica processuale e polifasica.

Le ricerche Neuroscientifiche hanno ipotizzato che l'alessitimia potrebbe derivare da una rottura della comunicazione tra i due emisferi, impedendo che i segnali provenienti dalle regioni emotive, prevalentemente di destra, possano raggiungere le aree del linguaggio,  nella sinistra. 
«E'necessario un trasferimento emozionale, al fine di verbalizzare ciò che  senti", dice Katharina Goerlich Dobre della R.W.T.H. Aachen University. 
Questa disconnessione è stata notata, più drammaticamente, quando i chirurghi hanno cercato di curare forme di epilessia  farmaco resistente ,tagliando le fibre che collegano i due emisferi;  le convulsioni si erano ridotte ma i pazienti apparvero emotivamente muti . Meno clamorosamente, Goerlich Dobre ha scoperto attraverso scansioni cerebrali che alcune persone con alessitimia sembrano avere connessioni anormalmente dense a livello del corpo calloso. Questo potrebbe creare un rumore nel segnale (un po 'come una radio sintonizzata male) che impedisce la traduzione emotivo verbale.
Sembra chiaro che ci possono essere molti tipi di alessitimia . 
Mentre alcuni potrebbero avere difficoltà a esprimere le proprie emozioni , altri potrebbero in primo luogo ,anche non essere consapevoli dei sentimenti   . 
Richard Lane, University of Arizona,  confronta la cecita emotiva degli alessitimici con persone che sono diventato cieche dopo un danno alla corteccia visiva ,e che  pur avendo gli occhi sani , non possono vedere le immagini . 
Allo stesso modo , un circuito neurale emozionale danneggiato potrebbe impedire che la tristezza , la felicità o la rabbia divengano coscienti. 
Goerlich e Dobre , ha riscontrato una riduzione dei neuroni, nelle aree della corteccia cingolata che presiedono  alla consapevolezza di sé : questo puo comportare un blocco della rappresentazione cosciente delle emozioni .
André Aleman dell' University Medical Centre di Groningen, Paesi Bassi , ha rilevato  carenze in settori neurali connessi con la funzione dell' attenzione quando gli alessitimici guardano immagini cariche emotivamente : era come se il loro cervello semplicemente non  registrasse i sentimenti .


LE ARTI , LA CLINICA.

Uno di questi strumenti è la mediazione operata attraverso lo strumento espressivo non verbale, che consente l’emersione di contenuti mentali ancora privi di lessico per essere detti a parole in primis a sè stessi e poi comunicati agli altri.

Ci troviamo di fronte ad un analfabetismo emotivo e dobbiamo , cioè, prima “alfabetizzare” il paziente per permettergli successivamente di “leggere” e divenire consapevole delle emozioni che soggiacciono al sintomo.

Dare un nome all’emozione, al proprio stato d’animo, riconoscerla e condividerla in un processo terapeutico può essere più facile se, aggirando le difese del codice verbale, si sceglie di utilizzare (e qui, propedeuticamente e terapeuticamente, si scelgono le modalità che rendono possibile l’ingaggio), l’uso di codici espressivi alternativi, più raffinati e finalizzati, non necessariamente in senso estetico, che possono essere anche usati parallelamente a questo e che alla parola consentiranno un supporto.

E’ qui che il ricorso a tecniche, materiali, prassi artistiche può essere utile:

La nozione di arteterapia è intesa come uso di materiali, codici, procedure e tecniche propri della prassi artistica, la terapia come presa in carico, relazione d’aiuto e percorso strutturato e verificato.

L’arteterapia si fonda su un’esperienza non verbale e si avvale del potenziale terapeutico e riabilitativo insito nel processo creativo. L’atto creativo può far affiorare emozioni, conflitti, problematiche, bisogni e può dare inizio all’avventura della messa in forma di tutto ciò, attraverso la creazione di oggetti di mediazione che, pur utilizzando, strumenti e codici della prassi artistica, vanno valutati e considerati secondo la loro carica espressiva, sia essa latente o consapevole.

La relazione tra arti terapie e psicoanalisi.

Dalla seconda metà del XX secolo l'Arte terapia o terapia espressiva, è una tecnica psicologica di trattamento per i disturbi psichici la cui applicazione permette una comunicazione senza parole. Condivide con il processo della comunicazione artistica il contenuto inconsapevole, rimosso e represso, espresso con linguaggio metaforico o simbolico. Questo fenomeno è utilizzato in Psicoanalisi per l'analisi dei contenuti inconsci la cui espressione è facilitata dalla spontaneità ed impulsività del mezzo così come accade nei sogni, nelle associazioni libere, negli atti mancati età. (Freud)

L'arte terapia punta sull’espressione dell'inconscio attraverso un'attività veloce ed impulsiva che poi richiede un lavoro aggiunto psicoterapico d’analisi dinamico o psicoanalitico attraverso la verbalizzazione.

La rappresentazione diventa espressione e la metafora per analogia assume il carattere simbolico che può essere sottoposto ai processi d’insigth .

La Psicoterapia si conclude pertanto con l'elaborazione verbale e la presa di coscienza di contenuti inconsci oggetto di rimozione attraverso la liberazione agita d’oggetti repressi.

L’interesse della psicologia, della psicoanalisi e della psichiatria nei confronti dell’arte arriva da lontano, già Sigmund Freud nel 1905-1907 nei due saggi "Il motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio” e “Il poeta e la fantasia “aveva collegato l’esperienza ludica del bambino ed il processo dell’immaginario nella vita adulta.

Ernst Kris, psicoanalista e studioso di estetica e di storia dell’arte rifacendosi al saggio di Freud sul motto di spirito, considera la sublimazione una via importante per la comprensione dell’attività artistica, attribuendole però una funzione più ampia rispetto a quella difensiva in cui la psicoanalisi classica l’aveva relegata.

E’ nell’ambito della psicoanalisi infantile che il gioco, la creatività e la fantasia acquistano una specifica rilevanza in qualità di processi intermedi tra conscio ed inconscio: Anna Freud introduce la tecnica del disegno, mentre Melanie Klein approfondisce il metodo del gioco spontaneo.

Negli anni ’60 e ’70 la pratica dell’arteterapia viene influenzata dal contributo psicoanalitico di Donald W. Winnicott, che nel suo libro Gioco e realtà (1971) considera il rapporto psicoterapeutico come un’esperienza di gioco dove i bambini manipolano delle cose e gli adulti combinano delle parole. In questa esperienza l’analista non è uno spettatore, ma si immerge nel gioco: nella tecnica dello scarabocchio bambino e terapeuta intervengono a turno sullo stesso disegno. E’ proprio nella compenetrazione delle esperienze che si può scorgere quella zona intermedia che Winnicott chiama “spazio transizionale”, dove i confini psichici precostituiti si fondono e i processi transizionali, il gioco, la creazione e la fantasia consentono di infrangere le barriere tra il dentro e il fuori.

Un’altra grande psicoanalista, Marion Milner, si è occupata di psicoterapia a mediazione artistica sottolineando nell’espressione artistica un forte bisogno di fusione con la materia ed una perdita transitoria di differenziazione tra sé e l’oggetto.


Neuroscienze e attività espressive : l'accesso alla memoria implicita.

Come afferma LeDoux (1996), "i sentimenti emotivi risultano dal fatto che diventiamo coscienti dell'attività di un sistema cerebrale emotivo . Gli stati del cervello e le risposte del corpo sono i fatti fondamentali di un'emozione, e i sentimenti coscienti sono solo decorazioni, la ciliegina sulla torta emotiva" .

La memoria implicita è un'area della mente di natura preverbale e presimbolica, risalente per lo più ai primi due anni di vita, dunque a una fase dello sviluppo in cui non sono ancora mature le strutture nervose necessarie al funzionamento della memoria esplicita, di per sé autobiografico-narrativa e come tale accessibile alla coscienza e verbalizzabile. Infatti la memoria esplicita dipende dall'ippocampo e dalle aree corticali temporali e baso-frontali, strutture appunto non sufficientemente attive nelle prime fasi della vita. In queste fasi invece altre strutture, soprattutto la corteccia posteriore temporo-parieto-occipitale - in particolare dell'emisfero destro - e ancora poi l'amigdala, sono già pienamente attive, e determinano perciò la quasi esclusiva archiviazione delle più fondamentali esperienze in un "formato" non accessibile alla coscienza, non verbalizzabile e caratterizzato da un'intensa sensorialità affettiva.

Da queste evidenze deriva l'idea secondo cui l'attività mentale successiva, più adulta, a forte predominanza logico-riflessiva, si trovi inconsapevolmente costretta a rielaborare un serbatoio di vissuti che le sfuggono, perché archiviati in un formato motorio, sensoriale ed emotivo che soltanto la concomitante modalità extra-riflessiva, non verbale, artistica, espressiva può invece "raccogliere". Anzi, la modalità extra-riflessiva tenderebbe automaticamente a raccogliere e a incanalare questo genere di vissuti, offrendo la "traduzione" a loro più vicina, vale a dire quella non-narrativa, racchiusa in "insiemi" percettivo-affettivi di tipo globale e non-sequenziale.

La modalità extra-riflessiva consentirebbe a tali vissuti l'unica via di sbocco realmente confacente, perché composta degli stessi processi e dello stesso "linguaggio", vale a dire processi e linguaggi di natura commistamente psicofisica, vale a forte connotazione corporeo-affettiva..
Questa capacità del "pensare extra-riflessivo", consistente nell'attingere in via diretta aree mentali che sono sede di esperienze e di ricordi non-pensabili, permetterebbe quindi di riattraversare queste "tracce", tentandone così la "reinscrizione" in un nuovo formato definito. Tale reinscrizione consentirebbe una pensabilità sensoriale-emotiva, la quale - in quanto è comunque cognizione e coscienza - può condurre al superamento di traumi, di conflitti o di altri nodi emotivi. Questi altrimenti resterebbero depositati in un formato che sfugge alla psiche e che perciò tende di continuo a invaderla e a minarla.

Da questo punto di vista un disegno o un brano musicale sono significativi, per la comprensione del mondo interno di un paziente, quanto il verbale di un colloquio. Quello che è importante non è infatti l’esercizio di abilità musicali, grafiche o plastiche, che non sono necessarie e che, a volte, dove presenti, sono solo una ulteriore difesa razionale da contenuti emotivo affettivi carichi di sofferenza.

Quello che interessa all’arte terapia è la significatività nell’ utilizzo del materiale musicale e sonoro, dello spazio, del colore, del tratto, dei contenuti e la possibilità di una sua leggibilità a vantaggio del paziente (P.Pozzi,2010) che permetta di alfabetizzarlo , spesso ex novo, dal punto di vista emotivo affettivo. Secondo la teoria del codice multiplo della Bucci (1997), infatti, gli schemi emotivi comprendono elementi subsimbolici (insieme di sensazioni sensoriali, viscerali e cinestesiche , importanti nella musico per esempio) e simbolici (immagini e parole) legati fra loro da connessioni referenziali la cui qualità è riflessa nei discorsi e nella narrativa degli individui. L’alessitimia implica l’assenza o la disconessione referenziale e, per questa ragione, le emozioni risultano collegate molto debolmente con le immagini ,i suoni e con le parole, venendo così vissute come sensazioni somatiche, percezioni o impulsi agiti poco differenziati.

La Musica .

Secondo la definizione ufficiale data dalla “World Federation of Music Therapy”, in occasione del VII Congresso Mondiale di Musicoterapia (Amburgo, 1996):

“La musicoterapia è l’uso della musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per opera di un musicoterapista qualificato, in rapporto individuale o di gruppo, all’interno di un processo definito, per facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l’apprendimento, la mobilitazione, l’espressione, l’organizzazione e altri obiettivi terapeutici degni di rilievo, nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici, mentali, emotivi, sociali e cognitivi.

La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo, in modo che egli possa ottenere una migliore integrazione sul piano intrapersonale e/o interpersonale e, conseguentemente, una migliore qualità della vita attraverso la prevenzione, la riabilitazione o la terapia”.

In termini generali, la musicoterapia è una disciplina che si pone l’obiettivo di instaurare una relazione terapeutica stabile tra musicoterapista e paziente attraverso il canale non-verbale e l’uso del canale corporeo sonoro-musicale. Questo favorisce l’acquisizione da parte del paziente di nuove possibilità comunicative con se stesso e con gli altri.

Secondo Alvin (1986), la musica e gli strumenti musicali facilitano il processo terapeutico, mediando la relazione paziente/terapista, e sostengono il peso del transfert. In questo modo, invece di proiettare emozioni e affetti conflittuali sul terapista, il paziente usa gli strumenti e i suoni che questi emettono per elaborare i sentimenti rivolti a se stesso e alle persone più significative della propria vita.

La musica può veicolare affetti e fantasie (che altrimenti non troverebbero spazi adeguati d’espressione), è in grado di dar voce all’emozioni permettendo di dare meno importanza al pensiero razionale, può facilitare l’ascolto del proprio corpo e di quello dell’altro e creare una sorta di “oasi sonora” nella quale sperimentare una calma emotiva associata ad un rilassamento corporeo.

Barenboim (La musica sveglia il tempo ) ha contribuito a sviluppare una comprensione psicologica e filosofico spinoziana della musica, a partire dalla sua grande esperienza di direttore d'orchestra e non dalla conoscenza professionale della psicologia . Questo conferisce alle sue riflessioni caratteristiche di particolare acume e interesse per chi si occupa di musicoterapia.

Per esempio Barenboim  dice che “l’operazione di legare le note mi ha insegnato la relazione tra individuo e gruppo:ogni suono ha una durata. “In musica l’espressività è data dal collegamento fra le note, che noi chiamiamo con l’espressione italiana legato. Il legato impedisce a una nota di sviluppare il suo io naturale, ovvero di diventare tanto importante da mettere in ombra la nota precedente. Ogni nota deve essere consapevole di sé ma anche dei propri limiti; le stesse regole che si applicano agli individui nella società si applicano anche alle note musicali”.
Ogni nota merita la stessa attenzione di tutte le altre e ha la stessa responsabilità nella riuscita dell’esecuzione, ma non tutte le note sono uguali. Vi sono note che segnano momenti e situazioni musicali cui è demandata una grande espressività. Ciò nonostante, anche queste note, debbono tener conto delle altre, non possono offuscarle pena il fallimento dell’esecuzione.

Per l’uomo è necessario contribuire alla società in maniera individuale; ciò fa sì che l’intero sia maggiore della somma delle parti. Individualismo e collettivismo non devono essere reciprocamente esclusivi; in realtà, insieme riescono a potenziare l’esistenza umana.”

La musica è fatta di sensibilità musicale –“una inclinazione istintiva o intuitiva al suono come mezzo di espressione-e comprensione intellettuale.
“La musica è sempre filosoficamente contrappuntistica. Anche quando è lineare in essa coesistono elementi opposti, a volte persino in conflitto tra di loro”.
“In musica due o più voci si esprimono simultaneamente; ognuna si esprime nella sua forma più piena e al tempo stesso ascolta l’altra”.
Barenboim cita Wagner, il quale scrisse che i direttori di orchestra tedeschi non sapevano nulla del tempo esatto “perché non capiscono nulla di canto”.
Attraverso il canto corale si impara una grande regola del fare musica.
"Ogni volta che si suona, in un ensemble da camera o in un’orchestra, si devono fare nello stesso tempo due cose molto importanti. Una è esprimersi-altrimenti non si sta contribuendo all’esperienza musicale-l’altra è ascoltare gli altri musicisti, il che è indispensabile per fare musica...non basta eseguire benissimo la propria parte; se non si ascolta, il proprio suono può diventare così forte da coprire le altre parti, o così sommesso da non essere più udibile”.

Sui rapporti fra il cervello e il cuore  Barenboim dice che: “Ai bambini si può insegnare l’ordine e la disciplina attraverso il ritmo e la musica.”
La musica è fatta di sensibilità musicale –“una inclinazione istintiva o intuitiva al suono come mezzo di espressione-e comprensione intellettuale.
Il musicista sente la sua partitura come emozione dentro di sé che vuole esprimere fuori di sé. Per renderla trasmissibile occorre studio e pensiero, riflessione e ordine. Rispetto.
“I giovani che conoscono la passione per la prima volta e perdono ogni senso di disciplina possono capire attraverso la musica come passione e disciplina possano coesistere-persino la frase più focosa deve avere alla base un senso dell’ordine.

"In definitiva, quella che forse è la lezione più difficile per l’uomo-imparare a vivere con disciplina e nondimeno con passione, nella libertà e nondimeno nell’ordine-traspare con chiarezza da ogni singola frase musicale.”


Bibliografia

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